Padre Alex Zanotelli

Giornali

la Provincia Pavese21 marzo 2012

Lomellina assediata diventa terra di rifiuti

di Filiberto Mayda

VIGEVANO Nevica a Parona, nevica a Sannazzaro de’ Burgondi. Neve in questi due piccoli comuni della Lomellina che distano l’uno dall’altro non più di una ventina di chilometri. Nevica, eppure il cielo è solo nascosto da una sottile nebbia alta. A trasformare l’aria in fiocchi bianchi è un fenomeno dovuto alla condensazione di vapori emessi da due grandi impianti, che fanno paura: il termodistruttore di Parona e la raffineria dell’Eni. La gente del posto ci ha fatto l’abitudine, ma c’è ancora chi prima si stupisce e poi si spaventa. E mette insieme storie e fatti che raccontano come la Lomellina, terra di riso e di cascine, si stia trasformando nella pattumiera della provincia di Pavia, in una delle zone che politica ed affari hanno deciso di eleggere territorio dei rifiuti e dell’inquinamento. La Lomellina, d’altro canto, ha una serie di vantaggi: non è densamente abitata, ha buone vie d’accesso per quanto riguarda il trasporto su asfalto, ha una situazione di povertà industriale e di disoccupazione che rendono difficile contestare anche il peggiore dei progetti se porta soldi e magari qualche posto di lavoro. Lomellina, terra di discariche e di inceneritori. Non lo diciamo noi, lo dice l’Arpa Lombardia, presentando la situazione ambientale della provincia di Pavia: «Il numero di imprese industriali vede la provincia di Pavia all’ottavo posto nel panorama regionale, con una concentrazione delle attività, di tipologia estremamente varia, in Lomellina, ove si localizza anche il maggior numero di discariche». I numeri possono aiutare. E sono solo i numeri recenti, quelli disponibili tra le carte di un’amministrazione provinciale che negli ultimi vent’anni ha fatto di tutto salvo programmare la gestione e la raccolta dei rifiuti. Sono quelli degli impianti di trattamento rifiuti e in esercizio nel 2011 appena trascorso, la bellezza di 110, ossia uno ogni 5.000 abitanti, uno ogni 26 chilometri quadrati. Insomma, in una giornata limpida ci si potrebbe guardare attorno certi di posare lo sguardo, prima o poi, su un piccolo o grande impianto. Veniamo ai numeri più dettagliati, dunque. Ci sono 9e impianti autorizzati per trattamento e recupero fanghi in agricoltura, 10 autorizzati per solo stoccaggio di rifiuti, 7 per termodistruzione, 7 di discarica, 5 di compostaggio, 19 di autodemolizione, 10 di selezione e cernita, 53 di recupero rifiuti vari, 3 di depurazione rifiuti liquidi, 4 di inertizzazione, 10 piattaforme per rifiuti urbani, 53 piazzole ecologiche di Comuni, 1 gassificatore. «Questi impianti – spiegano all’assessorato provinciale alle politiche ambientali – possono essere autorizzati contemporaneamente a più di una delle citate attività contemporaneamente». Vi sono poi quelli autorizzati ed in esercizio: 7 impianti mobili di triturazione rifiuti e 81 impianti di recupero in procedura semplificata. Negli ultimi 3 anni sono stati rilasciati (non considerando le autorizzazioni di rinnovo e per varianti sostanziali agli impianti) atti di iscrizione al registro impianti di recupero per 14 nuovi impianti in procedura semplificata e autorizzazioni per 34 nuovi impianti in procedura ordinaria (vi sono comprese quelle per le piazzole per rifiuti urbani e gli impianti mobili). Negli ultimi 3 anni, infine, sono state respinte 2 istanze di iscrizione in procedura semplificata, cancellati 2 impianti dal registro dei recuperatori in semplificata e revocate 2 autorizzazioni per impianti in procedura ordinaria. Infine, un ultimo dato numerico: negli ultimi dieci anni la Regione Lombardia ha esaminato per la provincia di Pavia 82 procedure di diverso tipo che sono poi state autorizzate. Lo scenario è impressionante. Per tornare alla “neve” di Parona, basti dire che intorno al paese, a far ala al termodistruttore, ci sono un’industria di prodotti chimici, una di produzione di vernici, una fonderia di alluminio e una di ghisa. Sono, come vedremo, affari importanti, spesso milionari. L’utile, in questi progetti, è altissimo, la tecnologia richiesta spesso non supera quella artigianale, i costi bassi. Una mancata e seria pianificazione provinciale della gestione dei rifiuti è forse la causa di quanto sta accadendo, del proliferare di domande per realizzare impianti di trattamento dei rifiuti e discariche per l’amianto. L’amministrazione provinciale di Pavia si è sempre difesa spiegando che non era sua competenza (e non lo è tuttora) indicare i siti adatti a discariche per lo smaltimento dell’amianto. Qual è la situazione attuale sotto il profilo normativo? I criteri di localizzazione per le discariche di inerti ci sono (anche se nel Piano provinciale rifiuti il termine “amianto” non compare quasi mai), ma basati sul principio di escludere alcune aree non idonee, non assumendosi la responsabilità di indicare quelle idonee. Insomma, come ci conferma l’attuale assessore provinciale all’Ambiente, Alberto Lasagna, «è mancata la pianificazione di lungo periodo prima da parte della Regione e poi della Provincia nel non sollecitare la stessa Regione. Con buona probabilità, anche se non posso averne a posteriori la certezza, una migliore pianificazione avrebbe evitato la situazione nella quale ci troviamo adesso». All’inizio del 2012 proprio l’assessore Alberto Lasagna ha cercato di convincere la Regione a dare una frenata di tre, quattro mesi alle conferenze di servizio sulle discariche di amianto per dare tempo alla Provincia di fare quello che non è stato fatto nel decennio precedente: fornire, insieme ai sindaci del territorio, un’indicazione appunto pianificatoria rispetto alle discariche per il cemento-amianto. Siamo di fronte a vicende che hanno visto la popolazione pavese schierarsi contro i progetti, la politica a interrogarsi e gli imprenditori a difendersi. Tutto regolare sotto il profilo amministrativo e ovviamente penale. Eppure, in questi anni, si è sempre sentita la necessità di tenere la guardia alta. Anche perché, a volte, storie che sono al centro di storie giudiziarie hanno sfiorato la provincia di Pavia. E’ il caso dell’inchiesta sull’assessore regionale Nicoli Cristiani. Da un colloquio intercettato, a un tavolo di ristorante, gli investigatori scoprono che imprenditori e politici si dividono la Lombardia. Meglio, gli affari sui rifiuti in Lombardia. Una vera e propria spartizione del territorio.