Trascorrono i mesi, gli anni, ma la situazione non si sposta, non cambia, anzi. Le cronache devastanti provenienti dalla Campania, con la vita di migliaia di cittadini (colpevoli solo di cercare di vivere una vita civile) avvelenata da montagne di rifiuti e nuovi catini/ discariche aperti dalla Polizia e presidiati dall’esercito, esigono doverosamente una riflessione, una considerazione e una forte presa di posizione.
La riflessione.
Ancora una volta si è percepita, clamorosamente, la mancanza dello Stato. Nel territorio, nel tessuto sociale, nelle Istituzioni. Quasi una sconfitta definitiva. Ci si chiede con rabbia perché in Italia si debba sempre arrivare allo stato d’emergenza, per poi assumere decisioni dettate conseguentemente dall’emergenza. E l’emergenza non si gestisce. Il più delle volte la si affronta, la si prende di petto, con misure straordinarie, che servono a restituire la normalità, ma non a risolvere i problemi. Allo Stato, oggi, si chiede solamente una cosa: di intervenire concretamente. E di ripristinare la legalità.
Non sgomberare semplicemente le montagne di spazzatura, o aprire nuove discariche, in un perenne stato di emergenza. Sgomberare definitivamente la criminalità organizzata, toglierle ossigeno e la terra sotto i piedi, ripristinando la legalità. E restituire dignità, condizioni sociali e lavoro alle persone per bene, ai cittadini, non solamente campani, i quali attendono solamente quello, di ritornare a fare una vita normale, da cittadino in uno Stato democratico presente e vicino. Questo si chiede, in una politica di ampio respiro e prospettiva, allo Stato.
La considerazione.
È ormai manifesta in tutta la sua chiarezza e tragicità: i rifiuti sono lo specchio, l’immagine riflessa e distorta di un modello di sviluppo totalmente insostenibile e autodistruttivo. Rappresentano meglio di ogni altra considerazione le “condizioni climatiche alterate” che lo sviluppo ad ogni costo, la crescita infinita, il mito compiutamente artificiale e artificioso del Prodotto Interno Lordo creano ogni giorno; rappresentano macigni da rimuovere per poterci dare un futuro che parli di benessere e qualità della vita.
Ogni anno si producono sempre più rifiuti, e con la scusa di non sapere dove metterli la politica nazionale, senza distinzione di sorta o schieramento, sceglie la strada più semplice, la scorciatoia degli inceneritori. Li si maschera chiamandoli con un altro nome, termovalorizzatori, cercando con un incantesimo di spostare l’attenzione sulla presunta convenienza energetica nella combustione di materiali post consumo che, con un minimo di buonsenso e una filiera impiantistica corta e sostenibile potrebbero tranquillamente essere avviati totalmente a recupero e riutilizzo.
Siamo l’unica nazione in Europa ad associare queste macchine di morte, inutili e antieconomiche, a impianti per la produzione di energia; non è un caso infatti se grazie alla ”truffa dei CIP6” siamo incorsi in numerose infrazioni, pagando multe salatissime, da parte della Comunità Europea.
Ci inventiamo finte emergenze rifiuti, e fintamente le risolviamo con periodicità sospetta, senza nemmeno essere in grado di rispettare quegli obiettivi minimi di raccolta differenziata che noi stessi ci siamo imposti con le normative regionali e nazionali. Guardiamo con sospetto e agitiamo il mito del progresso ogni qualvolta si dimostra che ridurre è meglio di produrre, che recuperare è meglio di incenerire, che un pò meno per tutti è meglio del tutto per pochi…
E ancora oggi, nell’epoca dei “rifiuti zero” e delle grandi città e Paesi che in mezzo mondo hanno cambiato strada, siamo ancora qui a discutere di nuove linee e nuovi inceneritori, perché i nostri amministratori e governanti (di destra e di sinistra) non sanno pensare in altro modo che come pensa il Diavolo: bruciare, bruciare e ancora bruciare! Quando invece basterebbe una legge, pochi articoli semplici e chiari per raggiungere, in un colpo solo, molteplici risultati: riduzione dell’impatto ambientale e conseguente abbattimento dell’inquinamento; risparmio economico per lo Stato; creazione di migliaia di posti di lavoro; miglioramento della qualità della vita degli italiani; superamento della filiera assurda degli inceneritori.
Fantascienza? Semplice provocazione? Entriamo nel merito. Oggi in Italia sono circa 1.500 i Comuni che praticano attivamente il sistema di raccolta differenziata “porta a porta” dei rifiuti, con l’eliminazione dei cassonetti stradali e la consegna degli appositi contenitori alle famiglie del territorio. Sono Comuni di montagna e di pianura, Comuni piccolissimi e città, amministrati da giunte di sinistra e di destra, comuni del Nord come del Centro e del Sud. Insomma, un campione abbastanza eterogeneo e quindi attendibile. Ovunque le percentuali di raccolta differenziata hanno superato, spesso di gran lunga, le percentuali minime richieste dalla normativa nazionale, con vere punte di eccellenza (su tutti valga il racconto dell’esperienza di Ponte nelle Alpi – BL, premiato quest’anno come vincitore assoluto del Premio “Comuni Ricicloni” per aver sfiorato quota 90%).
Le bollette per i cittadini in questi Comuni, all’interno di un territorio dove funziona il “porta a porta”, con alle spalle una adeguata impiantistica e una uniformità nel tipo di raccolta, diminuiscono, o perlomeno restano inalterate, e i costi per le Pubbliche Amministrazioni hanno drastici ridimensionamenti perché, diminuendo la produzione complessiva di rifiuti, diminuiscono le spese per i Sindaci virtuosi e i loro Bilanci.
Si creano posti di lavoro, perché si smette di sotterrare banconote, nelle discariche o di bruciarle in un camino, e le si utilizza per assumere personale che lavora alla raccolta di quanto i cittadini differenziano. È anche un ottimo modo per entrare nelle case a contatto con le famiglie, attuando politiche e iniziative di partecipazione e coesione sociale.
All’appello mancano circa 6.600 Comuni… Si calcola che se si avviasse domani mattina un programma nazionale per estendere ovunque il “porta a porta” si creerebbero, nel giro di pochi mesi, circa 250.000 posti di lavoro (senza contare tutto l’indotto), spendendo infinitamente meno dei soldi pubblici che buttiamo per costruire inceneritori che, nella migliore delle ipotesi, sono brutti da vedere (e molto probabilmente da “respirare”…)
Nel giro di qualche mese si potrebbe far adottare a tutti i Comuni italiani il sistema “porta a porta” per la raccolta dei rifiuti, con forme incentivanti e penalizzazioni per i Comuni più o meno virtuosi.
Una azione del genere creerebbe una reazione a catena formidabile: l’imprenditoria locale sarebbe incentivata ad investire in un’impiantistica “on field” finalizzata al recupero e riutilizzo del materiale post consumo proveniente dalle raccolta domiciliare; i cittadini farebbero a gara (con la conseguente introduzione della tariffazione puntuale, per cui si paga solo per ciò che non si riesce a differenziare) per produrre sempre meno rifiuti alla fonte; le imprese si vedrebbero finalmente costrette a concepire, progettare e produrre beni e merci senza imballaggi, sfuse, alla spina. Gli Enti Locali sovradimensionati comincerebbero ad investire in una filiera corta di impianti in grado di recuperare e trasformare i materiali post consumo provenienti dalla raccolta domiciliare, abbandonando definitivamente la logica degli inceneritori e delle discariche.
La presa di posizione.
E’ quella che, inevitabilmente, dobbiamo prendere tutti noi, Amministratori, cittadini, società civile, sensibili alle problematiche ambientali e a conoscenza dei problemi e delle soluzioni praticabili e concrete che ruotano attorno al mondo dei rifiuti, facilmente strumentalizzabile ad uso e consumo delle grandi multinazionali, delle “municipalizzate” della criminalità organizzata e di una larga fetta di classe politica semplicemente ignorante o ipocrita.
Puntualmente, ascoltando i servizi dei telegiornali e i cosiddetti “talk show” serali presenziati da ospiti variegati, comodi nei loro divani, una informazione falsa (o falsa informazione) e faziosa ha incredibilmente, scandalosamente fatto passare un messaggio enormemente fasullo. Lo stato di emergenza della Campania, le immagini e i “reportage” che arrivano dalle strade della sterminata area urbana napoletana, hanno trasmesso agli italiani la classica immagine del rifiuto. Quella per cui, catalogato in monnezza sia un qualcosa da buttare, da espellere, da far sparire. Da bruciare.
Ed ecco che la parola magica, termovalorizzatore, ha preso campo, nell’immaginario collettivo, come la bacchetta magica, la soluzione per tutti i mali. Il rifiuto, la monnezza? Li bruciamo, e tutto si risolve. Falso! Sbagliato! Un ciclo dei rifiuti moderno, completo, rispettoso dell’ambiente ed economicamente vantaggioso è quello che vede il rifiuto come una risorsa, ed usa un sistema di raccolta e gestione con il metodo “porta a porta”, che raggiunge nell’immediato il 60% (con punte di eccellenza che arrivano al 90%) di differenziata, portando dunque in discarica (una moderna discarica costruita secondo le normative europee, che non “corrompe“ i suoli) il restante residuo, opportunamente trattato, della raccolta.
Risultato: viene stravolta, e gradualmente dimenticata, la vecchia immagine della discarica come luogo di scarico della monnezza; la sua durata si moltiplica rispetto all’attuale; il suo impatto ambientale e il suo costo di gestione diminuiscono proporzionalmente. Ecco dunque che il termovalorizzatore, anzi, l’Inceneritore, mostro antieconomico, generatore di tumori, produttore di scorie e ceneri altamente tossiche e pericolose, dall’enorme costo di smaltimento e di stoccaggio, e generatore di polveri micidiali e non misurabili dalle attuali norme vigenti (le cosiddette nanoparticelle contenute nel fumo dei camini), viene “scaricato” naturalmente nella discarica di un passato che tutti vogliamo, dobbiamo dimenticare.
La valanga di dati scientifici, le tabelle, le ricerche mediche, nei canali tradizionali e soprattutto nella Rete, sono a disposizione di tutti. Anche di una informazione nazionale tragicamente colpevole, che non ha svolto il proprio dovere deontologico. Mettiamola così:
a) un giornalista, con la “g” piccola, alle prese con i tempi del suo giornale e la urgente messa in onda del servizio, ha subito a disposizione la “pappa pronta”: apre lo sportello dell’inceneritore, e… voilà, il servizio è fatto, l’articolo è pubblicato, i colpevoli sono trovati, i rifiuti smaltiti. E il territorio? E i cittadini? E la loro salute? Il prossimo programma, il prossimo servizio, la prossima intervista al politico “…amante del verde e del proprio territorio…” di turno….
b) il Giornalista, con la “g” grande, si informa, perde del tempo dietro dati e tabelle, esegue raffronti, sente tutti gli attori in gioco, e pubblica il suo pezzo, effettua il suo servizio. Di cronaca, con fatti, dati e riscontri. Ed una semplice domanda, rivolta ai fautori delle “magnifiche sorti e progressive” dei termovalorizzatori/inceneritori: “…ma lei, ci abiterebbe, con la sua famiglia, nei pressi di questi impianti?…”. Tutto qui…
In conclusione. Avremmo sperato in una seria politica che poggi su una professionale, massiccia e preventiva campagna di informazione e partecipazione verso i cittadini, volta a realizzare un sistema integrato di gestione della risorsa rifiuto attraverso il metodo “porta a porta”, con la costruzione e messa in opera, attraverso bandi costruiti ad hoc, di moderni impianti per la selezione e lo smistamento della componente differenziata e per la produzione di compost di qualità dalla componente organica, da riutilizzare nei terreni avvelenati da anni di scarichi abusivi. Insieme all’individuazione (per quanto riguarda la Campania, ma attuabile e trasferibile anche in altre realtà ove necessario) di un nuovo sito sovraterritoriale per lo stoccaggio della componente indifferenziata, opportunamente trattata, non recante alcun danno ambientale; o, in alternativa, un impianto per la lavorazione e il riutilizzo di questa componente residua, con le tecnologie offerte oggi dal mercato.
Anche qui: parliamo di fantascienza? Proclamiamo una rivoluzione? No, niente di tutto questo. Parliamo di progetti già realizzati, concreti ed economicamente vantaggiosi, per il territorio, l’Ambiente e le casse pubbliche. Realizzati in migliaia di altre realtà nel mondo: dall’Austria alla Danimarca; da San Francisco a Novara; da Asti a Bolzano Vicentino; da Ponte nelle Alpi a Melpignano, da Colorno a Monsano, passando per Capannori, Senigallia, Appignano fino a Comune campano di Camigliano e le altre decine di Amministrazioni locali e Sindaci italiani i quali stanno gestendo la risorsa rifiuto senza problemi, in sintonia con il territorio e, soprattutto, con il loro mandato civico a servizio dei cittadini, nel rispetto dello Stato e della Costituzione.
21 ottobre 2010.
Associazione nazionale dei Comuni Virtuosi.
l Comitato Direttivo:
Presidente Gianluca Fioretti – Sindaco di Monsano AN
Coordinatore Marco Boschini – Assessore di Colorno PR
Domenico Finiguerra – Sindaco di Cassinetta di Lugagnano MI
Alessio Ciacci – Assessore di Capannori LU
Ivan Stomeo – Sindaco di Melpignano LE
Ezio Orzes – Assessore di Ponte nelle Alpi BL
Vincenzo Cenname – già Sindaco di Camigliano CE
Comuni Virtuosi