La Storia dell’umanità ha realizzato una società migliore partendo da una meno buona, e nel suo corso può realizzarne una ancora migliore;
ma è un fatto anche che la Storia dell’umanità passa attraverso il dolore, la miseria, il sacrificio degli individui.
Lo sfruttamento sempre più intensivo degli uomini e del territorio (basta pensare alla violenza sui bambini e alla distruzione delle foreste), che la nostra società ha bisogno per svilupparsi, ci conduce a dire che la teoria dei corsi e ricorsi storici contiene almeno una verità: che la possibilità della ricaduta nella barbaria non è mai completamente esclusa.
Nel Rinascimento furono poste le fondamenta della moderna scienza della natura.
Scienza che la società borghese, che si stava liberando dal sistema feudale, ha fatto propria.
La scienza con le sue scoperte ha modificato la nostra visione del mondo dando alcune risposte parziali alle domande che i filosofi da sempre si sono poste:
che cos’è l’Universo, come è nata la vita, quando è apparso l’uomo, che cos’è il pensiero, quale sarà il futuro della Terra e il destino dell’uomo?
Ma per potere affrontare i problemi globali di sopravvivenza di una società in rapida evoluzione, che non si ha eguali in altri periodi storici, il pensiero scientifico e quello umanistico devono essere complementari.
Bisogna allora imparare a convivere con le tecnologie e a usarle per modificare gli squilibri e le storture provocate dallo stesso sviluppo tecnologico.
Allora, siccome è un’illusione pensare di fermare lo sviluppo tecnologico, l’unica strada percorribile è quella di accelerare lo sviluppo e l’educazione culturale. Senza il quale non vi può essere sviluppo dell’umanità.
Tutti vorremmo vivere in un “Paradiso Terrestre”, in una società utopica dove uomini e natura siano in perfetta armonia.
Ma deve essere un’Eden dove il Bene e il Male siano conoscibili per avere la possibilità che il Bene trionfi.
La realtà è che la natura è in lento inarrestabile degrado, perché il sistema per il mantenimento del potere ci aliena, ci abitua, attraverso i mass-media, al consumo più sfrenato e inutile e quindi a violentare la natura.
Questo modo di produzione, questo capitalismo selvaggio, eccessivo, ci fa vedere, sentire, viaggiare più lontano, ma nello stesso tempo non vuole e non può vedere, sentire, viaggiare là dove si soffre e si muore di fame, di malattie, di guerre.
La realtà è che il sistema per sopravvivere e perpetuarsi ha bisogno di una conflittualità permanente, della divisione tra Nord e Sud del Mondo, ha bisogno che le sovrastrutture ideologiche – religiose non vengano mai meno, tutto in nome del profitto, del controllo globale delle risorse energetiche:
dall’acqua, al petrolio, al nucleare, e delle risorse culturali e psicologiche dell’umanità.
Viviamo in una società dove la dialettica è un bene di lusso, la comunicazione si riduce, sempre più, a un esercizio formale.
I messaggi, attraverso i mass-media, arrivano al soggetto in modo sottile, contorto, alienante;
diventano alienanti non valori, che il soggetto “sente” di non poter più farne a meno per farsi accettare, per poter essere.
Viviamo in una società dove la produzione è così disorganizzata e la corruzione così estesa che ciascuno è costretto a vivere con la paura di essere eliminato dal ciclo economico, e divenire così a trovarsi in preda al bisogno.
Viviamo in Paesi dove i valori sono relegati in polverose soffitte.
Viviamo in paesi dove tutti si conoscono, dove tutti prima o poi, sanno tutto di tutti, si sono visti fin da piccoli, ogni cosa ne ha dietro un’altra:
invidie arroccamenti supposizioni intransigenti, integralismi velati di buonismo opportunistico, paladini di verità assolute come giustificazione del loro diritto ai privilegi.
Così i valori dominanti, in una società sempre più integralista, sempre meno solidale, solo la piaggeria per un vantaggio da ottenere, la vendetta per un vantaggio non ottenuto.
Così la forma diventa il valore dominante.
La forma di atteggiamenti sempre uguali, ripetitivi come pubblicità, che sono giustificabili e non criticabili se rimangono nell’ambito della propria coscienza, ma diventano potere se si pongono come spartiacque tra il bene e il male, diventano così lo strumento egoistico per soddisfare solo i propri bisogni.
Ma la forma è un involucro del contenuto, è il vestito per il corpo, non la carne per lo spirito: è l’alibi per le false coscienze
Molte volte ci rifugiamo nelle categorie formali dello spirito, nel credere senza praticare la vita del credente, osservare solo le formalità rituali, per soddisfare le nostre esigenze e paure materiali e psicologiche, confondendo la morale con il più rigoroso moralismo, la nostra libertà con la libertà degli altri, e la categoria del vero diventa un’opzione da usare solo quando non contraddice la nostra egoistica opportunistica verità.
Ma la divinità non viene a noi ma è in noi.
La divinità non è la conoscenza: sarebbe una contraddizione teologica in quanto la divinità è inconoscibile;
ma la ricerca della conoscenza è la divinità.
Questa è la differenza è la dicotomia tra scienza e religione.
Dopo la condanna di Galileo la Chiesa cattolica per quattro secoli è stata accusata di essere oscurantista e antiscientifica.
Dovevano passare più di due secoli prima che le scuole cattoliche fosse permesso insegnare che la Terra gira intorno al Sole, determinando per molto tempo il declino scientifico e culturale dell’Italia.
La verità e quindi la libertà nasce solo dai rapporti dialettici, dall’incessante evoluzione dei rapporti umani, dall’umano divenire culturale.
L’individuo possiede a livello potenziale la verità, che gli viene dall’imperativo della propria coscienza, che è capace di una mediazione, di una sintesi tra bene e male;
l’individuo “vede” la verità, ma non riesce a materializzarla nell’oggettivo, in quanto gli oggetti non sono i bisogni inalienabili del soggetto, ma di chi ha in mano tutte le regole del gioco e le impone all’individuo facendogli credere che sono regole che si è dato da sé.
Il potere da una parte ci abbaglia con luci sfavillanti, dall’altra è impegnato ogni giorno a farci credere che il cambiamento è impossibile.
Il potere non è solo un soggetto politico-economico è anche un oggetto ideologico.
Ecco che allora capiamo che il potere non è solo nello Stato, nelle classi, nei gruppi nei movimenti religiosi, ma è anche nello sport, nelle mode, negli spettacoli, nelle informazioni, nei rapporti familiari e privati.
Bisogna mettersi continuamente in discussione purché il potere si insinua anche nelle forze libertarie che tentano di contestarlo.
E’ necessario e prioritario che tra umanità e natura si stabilisca un rapporto dialettico.
La dialettica è lo strumento fondamentale di comprensione e di trasformazione della realtà:
essa rappresenta l’ “ossatura della realtà naturale”.
Per questo la natura non è un mondo da controllare, ma è: “l’essenza corporea, è l’uomo stesso nel suo divenire” filosofico storico-culturale.
Quindi non c’è natura senza sviluppo culturale dell’umanità, e non c’è umanità senza amore per la natura.
Solo da questo rapporto tra umanità e natura può nascere l’uomo nuovo, che ha acquisito nuovi valori, per iniziare il lungo e tortuoso percorso verso un nuovo modo di produzione, il percorso che deve portare ad esportare non sovrastrutture e ideologie, ma cultura per creare strutture, affinché la filosofia vincente sia:
“da ognuno secondo le proprie possibilità, ad ognuno secondo le proprie necessità”.
Questo lungo e tortuoso processo filosofico lo viviamo come un obbiettivo impossibile da raggiungere, come un’utopia, soprattutto quando la depressione prende il sopravvento, quando di fronte alle difficoltà materiali, esistenziali-psicologiche della vita, alle contraddizioni ci sentiamo perduti:
non sappiamo quale è il nostro presente, la memoria storica si fa nebulosa, perdiamo ogni speranza nel futuro.
La Storia dell’umanità ci ha dimostrato che l’utopia è la meta culturale, è la filosofia verso cui orientarsi, purché non si riduca a una enunciazione di principi astratti, purchè non si limiti a una fuga in avanti priva di modelli progettuali.
Per non correre questi rischi bisogna portare avanti un discorso sul futuro, riconducendolo, costantemente a quella che è la realtà attuale, a quella che è l’evoluzione più probabile.
La realtà ci dimostra, sempre più, che solo tramite la messa in discussione degli schemi progettuali di ciò che uomini e macchine vanno facendo, si può arrivare alla partecipazione, alla nozione del futuro, alla coscienza di essere parte attiva del futuro.
Quindi la felicità, ovvero la conoscenza, è vera e duratura solo quando la percepiamo nel nostro intimo con quella dinamicità culturale che porta al bisogno di conoscere, alla necessità che solo attraverso la conoscenza può esserci un futuro migliore.
Solo attraverso la conoscenza si può raggiungere la felicità e conquistare la libertà.
Autore: Mecca Vincenzo – datazione sconosciuta
Vincenzo Mecca